COVID 19

Mancato accesso dei datori di lavoro alle informazioni sulla vaccinazione

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Nonostante la quarta ondata di COVID-19 sia già in atto, regna ancora il caos giuridico sulla questione dei diritti e dei doveri dei datori di lavoro nei confronti dei loro dipendenti in materia di vaccinazioni. Non esistono basi giuridiche univoche che possano garantire l’accesso alle informazioni concernenti le vaccinazini compiute e gli esiti dei tamponi effettuati, o che consentano di esigere da un dipendente l’esito del tampone, perfino nel caso in cui questo sia effettuato gratuitamente dal datore di lavoro. L’Ombudsman ed il Commissario per la Privacy fin dall’inizio della pandemia richiedono in sostanza l’assenso del dipendente o l’introduzione per legge della base giuridica di tale richiesta, cosa che resta tuttora lettera morta.

A titolo d’esempio, il 9 dicembre 2021, l’Ombudsman ha inoltrato una lettera al Ministro della Salute affinché venga avviato l’iter legislativo finalizzato a definire la base giuridica della richiesta di dati concernenti le vaccinazioni. Il Ministro della Salute, a sua volta, ha annunciato l’emanazione di un decreto che consenta al datore di lavoro di richiedere al dipendente, compreso quello vaccinato, i risultati del tampone effettuato, la cui gratuità sarebbe garantita dal governo. Il Ministro ha sottolineato: Introdurremo una soluzione che permetterà ai dipendenti di iscriversi ad un tampone gratuito (per COVID-19 – red.) grazie al modulo disponibile sul nostro sito. Questa procedura non comporterà l’obbligo di quarantena predefinita come nel caso di segnalazione da parte di un medico. Il suddetto provvedimento tuttavia non è ancora stato emanato.

Ai sensi dell’art. 207, par. 1 del Codice del lavoro, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e dell’igiene sul posto di lavoro. La sua responsabilità è incondizionata. Ciò significa che non si può sottrarre ad essa con la scusa che anche il lavoratore non ha ottemperato ai suoi obblighi. Inoltre, il datore di lavoro si espone all’accusa di aver messo a repentaglio la salute dei dipendenti – in quanto bene della persona – anche quando li espone al rischio di contagio da COVID-19. Particolare attenzione va posta al fatto che, come già accennato, il datore di lavoro è obbligato a garantire il rispetto non solo delle norme BHP (norme di sicurezza e igiene del lavoro), ma anche delle regole in materia che, pur non costituendo norma giuridica, derivano dal bagaglio di esperienza maturata e dalle conquiste della scienza e della tecnica. Il datore di lavoro è tenuto ad avvalersi di tali regole anche quando nessuna disposizione di legge richieda l’utilizzo di specifiche misure di sicurezza. Tuttavia, per poter adempiere efficacemente ai propri obblighi, in conformità con la normativa vigente, e contrastare il pericolo di contagio da COVID-19, i datori di lavoro devono poter disporre di strumenti giuridici adeguati, e una delle misure di base che si avvalgono delle conquiste della scienza per garantire la sicurezza e l’igiene sul posto di lavoro in caso di epidemia (nonché la sicurezza nelle università e negli edifici pubblici in generale) sono le vaccinazioni contro il COVID-19.

Malgrado ciò, a parere dell’Ombudsman, i datori di lavoro, intenzionati a definire l’entità del rischio epidemico esistente nella loro azienda, non hanno alcuna possibilità di ottenere per legge informazioni sul fatto che una determinata persona sia stata vaccinata: conformemente alle disposizioni del RGPD, l’adempimento da parte dei datori di lavoro dell’obbligo di garantire condizioni di lavoro sicure e igieniche o di sicurezza sanitaria – nel campo delle vaccinazioni contro il COVID-19 – richiede il consenso dell’interessato o il varo di un provvedimento legislativo espressamente a ciò destinato.

Autore: Jacek Wilczewski, legale

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